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Contro dell’energia nucleare

Costi di costruzione

Quando si parla di energia nucleare, il tema dei costi è tra i più largamente dibattuti. C’è chi sostiene che sia eccessivamente costoso e chi, d’altra parte, afferma il contrario. Ma dove sta la verità? La risposta è molto più complesso di quanto potremmo pensare e, per questo motivo, è necessario andare per gradi.

Costo “overnight”

Gli impianti nucleari, in generale, sono tecnologicamente più complessi rispetto alle altre tecnologie per la produzione di energia, e vengono inoltre dotati di sistemi di sicurezza estremamente ridondanti. Questo fa sì che il costo di costruzione “overnight” dell’impianto sia superiore rispetto a quello di altre tecnologie, a parità di potenza installata. E cosa vuol dire “costo overnight”?
Con costo “overnight” si intende il costo di costruzione puro, cioè privato di tutte quelle componenti legate ai tassi di interesse, come se la costruzione avvenisse nell’arco di una sola notte. Il costo overnight solitamente si misura in $/kW, quindi dipende dalla potenza installata e non dall’energia prodotta, e andando a vedere la situazione mondiale si vede che i valori variano moltissimo tra oriente (2000 $/kW in Russia, Cina e Corea) e occidente (4000 $/kW o addirittura 6000 $/kW).

Tassi di interesse

Al costo overnight vanno poi aggiunti i tassi di interesse: gli impianti nucleari hanno dei tempi di costruzione che partono da 4-5 anni, ma che in alcuni casi sono arrivati addirittura a 17 anni (la media mondiale è 7 anni), dunque chi investe nella costruzione impiegherà parecchio a rientrare dei soldi spesi, e questo viene compensato con dei tassi di interesse generalmente abbastanza alti. Questo può essere in parte evitato con interventi pubblici, ad esempio con prestiti pubblici a tasso di inflazione o con garanzie sul prezzo di acquisto futuro dell’energia prodotta dall’impianto. Per impianti recenti di nuova costruzione, gli interessi sul costo iniziale possono influire per oltre il 50% sul prezzo del kWh prodotto. In generale, per quanto riguarda i costi capitali (costo overnight + interessi) il nucleare è senza dubbio la tecnologia più costosa per produrre energia.

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Costi vivi

La situazione cambia drasticamente se si vanno a guardare i costi per mandare avanti l’impianto una volta che è stato ultimato: in questa lista troviamo i costi di operatività e manutenzione (genericamente indicati con la sigla O&M), il costo della materia prima (l’Uranio), i fondi per la gestione dei rifiuti radioattivi e l’accantonamento dei fondi per lo smantellamento dell’impianto a fine vita.

O&M e materia prima

Dal punto di vista dell’operatività e della manutenzione, una centrale nucleare è leggermente più costosa di un impianto a gas o a carbone di pari potenza – richiede una quantità maggiore di personale specializzato – ma per quanto riguarda la materia prima il nucleare è decisamente in vantaggio: un reattore moderno da 1,2-1,6 GW di potenza viene infatti caricato con circa 100 tonnellate di Uranio a basso grado di arricchimento (3-5%), che vengono completamente sostituite ogni 4 anni (in realtà i cambi di combustibile avvengono una volta ogni 18 mesi, ma solo parte delle barre viene sostituita), il che equivale ad un consumo medio di 25 tonnellate di Uranio all’anno; una centrale a carbone di pari potenza richiede all’incirca 2,5 milioni di tonnellate all’anno.
Una centrale nucleare richiede dunque centomila volte meno materia prima di una centrale fossile; certo, 1 kg di Uranio costa più di 1 kg di carbone, e i processi di arricchimento e fabbricazione del combustibile nucleare sono più costosi rispetto alla raffinazione dei combustibili fossili (ma questi costi vengono abbattuti dall’economia di scala), ma questo non basta a compensare l’enorme vantaggio dato dalla densità energetica dell’Uranio.
Il prezzo dell’energia nucleare è dunque sostanzialmente indipendente da quello della materia prima, che incide sul costo del kWh per meno del 10% (di cui la metà sono costi di arricchimento e processamento, e solo il 5% è effettivamente il costo del minerale di Uranio): questo fa sì che il prezzo dell’energia nucleare sia molto meno soggetto a oscillazioni dovute al mercato della materia prima e soprattutto fa sì che, una volta costruito l’impianto e ammortizzati i costi iniziali, l’energia nucleare diventi incredibilmente economica.

Fondi per scorie e decommissioning

Le ultime due componenti dei costi vivi sono i fondi per la gestione delle scorie e l’accantonamento dei fondi per il decommissioning. Queste sono due componenti uniche dell’energia nucleare, dal momento che a nessun’altra fonte di energia è richiesto di internalizzare le proprie esternalità: in altre parole, chi produce energia fossile non deve preoccuparsi di gestire la CO2 o le sostanze inquinanti che immette in atmosfera (solo adesso con i crediti europei per le emissioni si sta iniziando a lavorare in questo senso, ma il danno è compensato solo parzialmente) e chi produce energia rinnovabile non deve mettere da parte i soldi per smaltire i pannelli fotovoltaici esausti o per riciclare i magneti delle turbine eoliche.
Per fortuna il fatto che una centrale nucleare utilizzi poco combustibile fa anche sì che le scorie che produce siano relativamente poche, e pertanto il costo di gestione delle stesse non supera il 5-6% (spesso anche meno) del costo del kWh nucleare; inoltre l’operatività molto lunga di una centrale nucleare (40-80 anni per quelle di seconda generazione, 60-100 anni per quelle di terza) fa sì che i fondi per il decommissioning possano essere accantonati con molta calma a piccole dosi (1-2% del costo del kWh) e investiti in fondi a basso rischio, in modo da accumulare interessi per un periodo di tempo molto lungo.
Quindi, quanto conviene in termini economici il nucleare?
Secondo un’analisi della IEA (International Energy Association, un organo dell’OCSE – Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) del 2020, la convenienza iniziale del nucleare dipende fortemente dai tassi di interesse, ma guardando le operazioni a lungo termine il nucleare diventa la fonte più conveniente di tutte.

Smaltimento rifiuti

Quando si menzionano le centrali nucleari si sente spesso dire che “nessuno sa come gestire le scorie radioattive che producono”. In realtà questa è una cosa in buona parte falsa. D’altra parte è vero che ciò che esce da un reattore nucleare non si può certo gettare nella spazzatura con l’umido! In questo articolo cercheremo di fare chiarezza, andando a vedere non solo cosa sono e quante ne produciamo, ma anche come funziona il loro stoccaggio.

La differenza tra scorie nucleari e rifiuti radioattivi

I rifiuti radioattivi sono materiali solidi o liquidi contaminati da sostanze radioattive. Occorre precisare che le scorie nucleari non coincidono con l’insieme dei rifiuti radioattivi: questi ultimi vengono infatti prodotti, oltre che dagli impianti nucleari, anche dalla medicina, da alcune industrie e da alcuni centri di ricerca.

Tipi di rifiuti radioattivi

rifiuti radioattivi sono classificati in vari modi, a seconda della loro durata e dell’energia che emettono:

  • rifiuti di basso livello, ad esempio, richiedono di essere stoccati separatamente solo per un periodo limitato di tempo (pochi anni o decenni), poi sono diventati quasi del tutto inerti e si possono smaltire come rifiuti comuni.
  • rifiuti radioattivi di livello intermedio hanno attività più elevate e per questo vanno schermati anche durante il loro trasporto. Alcuni hanno tempi di dimezzamento molto brevi, altri possono richiedere anche qualche secolo di stoccaggio in sicurezza. Sia i rifiuti di basso livello che quelli di livello intermedio vengono abitualmente prodotti anche da quei Paesi che non fanno uso di energia nucleare, e infatti tutti i Paesi europei tranne l’Italia hanno uno o più depositi attrezzati per gestire questi rifiuti particolari.
Rifiuti Radioattivi barili
in foto: I rifiuti radioattivi di origine medica o industriale vengono cementificati e messi all’interno di contenitori stagni come questi.
  • rifiuti di alto livello sono quelli con livelli di attività tali da richiedere, oltre alla schermatura, anche un raffreddamento, almeno nelle fasi iniziali. Si tratta di materiali prodotti esclusivamente dalle centrali nucleari, e sono quelli a cui ci si riferisce abitualmente come “scorie”. Sono di difficile gestione perché contengono diversi elementi transuranici, caratterizzati da tempi di dimezzamento molto lunghi (anche di decine di migliaia di anni) e da emissioni prevalentemente di tipo alfa: questo significa che anche se l’attività è bassa (in Bq) l’energia emessa è comunque molto alta (in Gy). In Francia, dove l’energia nucleare fornisce il 70% del fabbisogno elettrico nazionale, le scorie nucleari sono poco più dell’1% del totale dei rifiuti radioattivi, ma contengono il 99% di tutta la radioattività artificiale.

Nessuno sa come risolvere il problema dei rifiuti radioattivi?

Se per i rifiuti radioattivi di livello basso e intermedio, lo stoccaggio temporaneo è più che sufficiente – si tratta, al più, di qualche secolo, meno di quanto restano nell’ambiente alcune plastiche – per le scorie nucleari propriamente dette si pone il problema di una gestione a lunghissimo termine, addirittura per centinaia di migliaia di anni. Filosoficamente, l’idea di lasciare in eredità al pianeta un rifiuto pericoloso per un tempo così lungo può comprensibilmente far storcere il naso. Ma dal punto di vista scientifico in realtà la soluzione esiste: si tratta semplicemente di trovare dei luoghi geologicamente stabili e isolati e seppellire lì questa spazzatura millenaria.
Sembra un’impresa impossibile, ma in realtà non lo è: i tempi-scala della litosfera sono infatti parecchio lunghi, tanto che i mutamenti geologici avvengono su scale di milioni, quando non decine di milioni di anni. Si tratta di un approccio che in realtà noi seguiamo già con moltissimi rifiuti di altro tipo: le scorie radioattive non sono infatti più pericolose di moltissimi rifiuti tossici non trattabili che vengono prodotti in varie attività di tipo industriale, e che noi oggi seppelliamo in luoghi sicuri, dove resteranno per sempre (notare che, a differenza dei rifiuti radioattivi, quelli che hanno una tossicità di tipo chimico non hanno un livello di pericolosità destinato a ridursi nel tempo).

Stoccaggio: c’è chi dice che “non è una soluzione!”

A chi non è familiare con quello che è il back-end dei beni di cui facciamo uso come specie (inclusa l’energia), la soluzione di uno stoccaggio così a lungo termine può facilmente sembrare un “nascondere il problema“. Quando pensiamo ad un problema “risolto”, in effetti, non pensiamo a qualcosa di accantonato, pensiamo a qualcosa che non c’è più. In realtà l’approccio del confinamento è quello che seguiamo con quasi tutti i rifiuti che produciamo: li mettiamo in discariche più o meno isolate dall’ambiente e aspettiamo che i processi naturali facciano il loro corso, che in alcuni casi può anche richiedere tempi lunghissimi.
Di recente però come specie abbiamo sviluppato il concetto di “economia circolare”, per cui invece di aspettare i tempi-scala della natura siamo noi stessi a far rientrare nei nostri processi produttivi i materiali di cui ci liberiamo. Questo concetto è applicabile anche alle scorie nucleari: la maggior parte degli elementi transuranici di cui abbiamo parlato prima sono infatti fissili (quindi possono essere rotti per ottenere energia) o fertili (possono essere trasmutati in elementi fissili tramite bombardamento neutronico). Dunque quantomeno la componente a lunga emivita delle scorie nucleari è completamente riciclabile. Oggi però questa via è ancora poco praticata e i reattori a spettro veloce (quelli in grado di smaltire gli elementi transuranici delle scorie nucleari) sono ancora poco diffusi, principalmente per via del fatto che sono abbastanza costosi: la situazione cambierà probabilmente in futuro, man mano che sempre più Paesi investiranno nei reattori di quarta generazione.
Una volta che gli elementi transuranici sono stati fissionati, gli unici prodotti di scarto rimanenti sono i frammenti di fissione, cioè gli atomi generati dalla rottura dei nuclei di Uranio, Plutonio, etc. Si tratta ancora di elementi altamente radioattivi, ma con tempi di dimezzamento molto più brevi e modalità di decadimento principalmente beta e gamma, che pertanto richiedono di essere stoccati per molto meno tempo (alcune centinaia di anni invece di alcune centinaia di migliaia).
Il problema dei costi dell’economia circolare è peraltro trasversale alle fonti energetiche: anche i pannelli solari, ad esempio, potrebbero essere riciclati al 99%, ma al momento non viene fatto quasi da nessuna parte, perché costa troppo.