
Il più grande disastro della storia del nucleare è stato quello avvenuto il 26 aprile 1986 nella centrale sovietica di II generazione della città di Chernobyl, in Ucraina. Secondo dati della Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica di Vienna, in quel disastro morirono, nell’immediato, 48 persone e furono evacuate 135.000 persone. Gli effetti a medio e lungo termine sulla salute umana di questo incidente non sono ancora del tutto noti. L’incidente è avvenuto per un insieme di concause molto particolari:
- L’impianto era dotato di reattori cosiddetti a “duplice scopo”, finalizzati alla produzione di plutonio adatto ad impieghi bellici ai quali, per motivi economici di gestione, era stata associata la generazione di energia elettrica per scopi “commerciali”.
- Le misure di sicurezza erano carenti, o del tutto mancanti; inoltre, allo scopo di aumentare la produzione di plutonio per impieghi militari, il reattore veniva fatto funzionare a temperature troppo elevate, superiori alle soglie di prudenza, pericolose persino in caso di un normale malfunzionamento per la possibilità di sviluppo di miscele di gas esplosivi.
- La centrale era priva di un sistema di contenimento, cioè dell’edificio a tenuta stagna – obbligatorio in tutte le centrali occidentali anche di II generazione – in grado di resistere alle pressioni che si svilupparono: anzi il reattore era alloggiato in un edificio con tetto in normale carpenteria metallica.
- Il disastro venne provocato da un esperimento imposto da burocrati sovietici ai tecnici della centrale, in violazione delle più elementari norme di sicurezza e in conflitto con le norme di esercizio previste dal manuale di quella centrale.
In Ucraina e nella Federazione russa funzionano ancora circa 15 impianti dello stesso tipo di quello di Chernobyl, ma questi reattori sono stati messi in sicurezza limitandone la potenza, costruendo sistemi di contenimento e adottando regolamenti che prevedono severe condizioni di esercizio. Inoltre questi impianti si stanno avviando rapidamente al fine vita e sono destinati ad essere sostituiti da impianti di moderna concezione. Gli impianti nucleari occidentali di III generazione sono totalmente diversi da quello di Chernobyl per i criteri di sicurezza utilizzati nella progettazione, per la presenza di molteplici sistemi di sicurezza attivi e passivi, per il contenitore esterno di sicurezza in grado di resistere ai peggiori eventi interni ed esterni e per le modalità di esercizio imposte. Inoltre, tali impianti sono finalizzati solo alla produzione di energia e non possono, in alcun modo, essere utilizzati a scopi militari.
Un altro grande disastro è quello di Fukushima
Il disastro di Fukushima è stato un incidente nucleare avvenuto nella centrale nucleare omonima, situata a Naraha, nella Prefettura di Fukushima, sulla costa est del Giappone. Fu il più grave incidente nucleare avvenuto dopo il disastro di Černobyl’ del 26 aprile 1986 ed è l’unico, insieme a quest’ultimo, ad essere stato classificato come livello 7 della scala INES, cioè il livello di gravità massima degli incidenti nucleari. L’incidente fu una conseguenza del terremoto e maremoto del Tōhoku dell’11 marzo 2011. Al momento della scossa, il sistema di sicurezza antisismico della centrale spense all’istante tutti i reattori con una procedura SCRAM attivata automaticamente. I reattori, dopo lo spegnimento, necessitavano comunque che il raffreddamento continuasse, per dissipare il calore generato dalle reazioni nucleari residue, normalmente persistenti per un periodo di alcuni giorni. In mancanza dell’elettricità fornita dai reattori, si attivarono quindi immediatamente i generatori elettrici di emergenza, alimentati a diesel e presenti a questo scopo nell’edificio di ciascun reattore, i quali fornirono l’energia necessaria a consentire il normale funzionamento dei sistemi di raffreddamento.

Dopo circa quaranta minuti, tuttavia, l’enorme onda di maremoto, proveniente dal Oceano Pacifico, generata dal sisma, si abbatté sulla centrale, la quale non era adeguatamente protetta: le sue barriere anti-tsunami infatti erano alte meno di dieci metri, mentre l’onda di maremoto raggiungeva circa i quattordici metri. Lo tsunami distrusse i generatori di emergenza che alimentavano i sistemi di raffreddamento dei reattori 1, 2 e 3, e anche la linea elettrica ad alta tensione che li collegava ai reattori 5 e 6. Ciò causò un black-out elettrico e il blocco dei sistemi di raffreddamento nei primi tre reattori.